DON ERACLIO STENDARDI

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 DON ERACLIO STENDARDI

IL PRETE DEI COCCETTI

chiesetta di San Giuseppe

calice (1818)

Piede a base circolare con modanature a rilievo di rosette e volute. Fusto sottile con nodo di raccordo molto pronunciato. La decorazione a motivi floreali parte dall'orlo per concludersi, percorrendo il fusto, alla sottocoppa, molto lavorataLa famiglia Stendardi lo ricorda quale dono del marchese Guglielmi. Le due date riportate alla base sembrano contrastanti. Il calice sembra databile al 1818, si conferisce, dunque, credibilità alla seconda datazione

Palazzo Guglielmi, a Roma

Eraclio Stendardi nacque ad Ischia di Castro l'8 dicembre del 1884 da una famiglia di nobili tradizioni sociali e religiose. Nel 1907 venne ordinato sacerdote ad Acquapendente e per qualche anno fu' vice parroco a Farnese. Nel 1911 si trasferì a Firenze dove rimase fino al 1928.Oltre a svolgere la sua attività sacerdotale, collaborò come giornalista a diversi giornali cattolici sotto lo pseudonimo di Alarico de Tendris. Diede alle stampe alcuni importanti saggi di materia religiosa ed ebbe l'opportunità di frequentare importanti personaggi che segnarono la sua crescita culturale tra i quali  Domenico Bassi, Giovanni Papini, Grazia Deledda (vincitrice del Premio Nobel per la letteratura 1926), Carlo Del Croix ed il politico Giovanni Gronchi (presidente della Repubblica Italiana dal 1955 al 1962), con il quale mantenne una profonda amicizia per tutta la vita. 

Negli stessi anni promosse 1’«Ope­ra pro derelictis» per assistere materialmente e spi­ritualmente la gioventù abbandonata (istituzione chiusa dallo Stato nel 1994) e fu cappellano nel ri­formatorio minorile femminile delle Murate.
Giovanni Papini (1881-1956) scrittorepoetasaggista e terziario francescano italiano

La casa di Giovanni Papini, a Firenze

Grazia Deledda (1871-1936), prima donna candidata al Parlamento italiano
Giovanni Gronchi (Pontedera 1887-Roma 1978)
terzo presidente della Repubblica Italiana (1955-1962)


Riguardo al suo paese natale, nel 1922 celebro' le figure di Antonio Canova, insignito da Pio VII del marchesato di Ischia di Castro, di Annibal Caro e dell'umanista Gandolfo Porrino. Nel 1928   fu nominato parroco di Ischia di Castro e nel 1934 diede alle stampe il primo notiziario intitolato "Il Bollettino di Castro". Tornato quindi nel suo paese natale, Don Eraclio Stendardi ebbe la possibilità di dedicarsi alla sua grande passione per la storia e l'archeologia del suo territorio. Nel 1929 scrisse il primo saggio dedicato alla città di Castro e ben presto divenne un punto di riferimento per gli studiosi interessati a questa parte di maremma.

Antonio Canova - Perseo con la testa di Medusa, 1801

Conosciuto dagli abitanti di Ischia di Castro come "il prete dei coccetti ", Don Eraclio iniziò, nel suo girovagare, a raccogliere reperti che trovava nelle campagne o che gli venivano consegnati direttamente dai contadini. La sua raccolta di reperti antichi, insieme a quella del nipote Turiddo Lotti, fu' determinante per l'istituzione dell'antiquarium di Ischia di Castro che si trasformò nel tempo, nell'attuale Museo Civico Archeologico "Pietro e Turiddo Lotti". Nel 1932 fu nominato Regio Ispettore Onorario dei monumenti, degli scavi e degli oggetti di antichità ed arte.


alcuni dei reperti donati al Museo Civico di Ischia di Castro



vaso derivante dalla collezione Stendardi-Lotti

lucerne derivanti dalla collezione Stendardi-Lotti

Collaborò con studiosi ed archeologi come il Prof. Luigi Cardini ed il Prof. Rittatore Vonwiller e con il grande scrittore fiorentino Piero Bargellini. Nel 1959, fra un impegno e l'altro, portò a compimento la seconda e più completa edizione delle "Memorie storiche della città di Castro"che ancora oggi costituisce un testo fondamentale per chi voglia avvicinarsi alla storia della maremma castrense. Morì ad Ischia di Castro il 27 luglio del 1959 a 75 anni.
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Nato a Milano il 2 febbraio 1919 da Angelo Rittatore e Dora Vonwiller (figlia di Oscar, creatore della Banca Vonwiller) comincia ad appassionarsi all’archeologia fin da piccolo, incoraggiato anche dalla madre alla quale sarà molto affezionato e della quale prenderà il cognome aggiungendolo al suo). Conduce i suoi studi a Milano e si iscrive alla Facoltà di Lettere di quella Università ma poi si sposta a Firenze dove, nel 1942 si laurea con una tesi di etruscologia dal titolo “Facies eneolitica della Valle del Fiora a sud del Monte Amiata”. 


Aveva cominciato a frequentare la Maremma che girava a piedi e in bicicletta. Nel 1939 aveva scoperto una tomba eneolitica nei pressi di Ponte San Pietro nel territorio di Ischia di Castro. In quel territorio sarà ancora nel 1941, nel 1946, 1948, 1951, 1954 e 1959 per campagne di scavo rese più agevoli dagli intensi rapporti di amicizia e di collaborazione con uomini di cultura di quei luoghi come Eraclio Stendardi e Turiddo Lotti ma anche dalla simpatia e l’attenzione con la quale la gente del luogo seguiva le spedizioni del “Dittatore”, come veniva chiamato storpiando il suo cognome.
Nato a Milano il 2 febbraio 1919 da Angelo Rittatore e Dora Vonwiller (figlia di Oscar, creatore della Banca Vonwiller) comincia ad appassionarsi all’archeologia fin da piccolo, incoraggiato anche dalla madre alla quale sarà molto affezionato e della quale prenderà il cognome aggiungendolo al suo). Conduce i suoi studi a Milano e si iscrive alla Facoltà di Lettere di quella Università ma poi si sposta a Firenze dove, nel 1942 si laurea con una tesi di etruscologia dal titolo “Facies eneolitica della Valle del Fiora a sud del Monte Amiata”. Aveva cominciato a frequentare la Maremma che girava a piedi e in bicicletta. Nel 1939 aveva scoperto una tomba eneolitica nei pressi di Ponte San Pietro nel territorio di Ischia di Castro. In quel territorio sarà ancora nel 1941, nel 1946, 1948, 1951, 1954 e 1959 per campagne di scavo rese più agevoli dagli intensi rapporti di amicizia e di collaborazione con uomini di cultura di quei luoghi come Eraclio Stendardi e Turiddo Lotti ma anche dalla simpatia e l’attenzione con la quale la gente del luogo seguiva le spedizioni del “Dittatore”, come veniva chiamato storpiando il suo cognome.

Ferrante Rittatore Vonwiller sulla sua fida 850 nel 1971 (foto csp)

Nel marzo del 1972, dopo la distruzione di resti insediativi e di tumuli dell'età del bronzo a Crostoletto di Lamone (Ischia di Castro), durante un sopralluogo per esaminare la possibilità di limitare i danni, ha un grave incidente d'auto; è ricoverato per sei settimane a Orvieto.
Nel 1975 riceve la cittadinanza onoraria di Ischia di Castro. Muore a Milano l’11 settembre 1976 a causa delle complicazioni succedute ad un ulcera perforata. Nel 2002 gli è stato intitolato il Museo civico di Farnese, che raccoglie le testimonianze materiali e naturalistiche del territorio di Farnese, con particolare riferimento alla Selva del Lamone. Una lapide è stata posta nel cimitero di Ischia a ricordo del cittadino onorario Ferrante Rittatore Vonwiller
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DIZIONARIO STORICO BIOGRAFICO DELLA TUSCIA

STENDARDI ERACLIO

Fu avviato alla vita ecclesiastica dallo zio materno, monsignor Giusep­pe Costantini, arcivescovo, elemosiniere e maestro di camera pontificio.
Collaborò con i giornali cattolici «Il Corriere d’Italia», «L’Avvenire», «L’Unità Cattolica».

Svolse la sua attività di predicatore nell’Italia centrale, in Sarde­gna e in Calabria.

Pur lontano dalla sua Ischia di Castro, vi promosse ini­ziative in onore di Antonio Canova (1922), rivendi­cando il marchesato conferito allo scultore da Pio VII), del poeta marchigiano Annibal Caro, che ivi visse alquanto al seguito del Cardinal Farnese e del­l’umanista Gandolfo Porrino, che scelse Ischia come sua stabile residenza. 
Ivi provvide ad am­pliare il santuario di Castro e la collegiata, a siste­mare la cappella del SS. Sacramento e a restaurare la chiesa della Madonna del Giglio e la strada che vi conduce. Contribuì in modo determinante alla li­quidazione in favore del Comune delle tenute del «Vepre» e dei «Colli» e al loro acquisto da parte della Cassa per la formazione della piccola pro­prietà contadina; le terre furono assegnate a cento famiglie contadine che le bonificarono e migliorarono. Non mancò il suo aiuto alla popolazione du­rante la Seconda guerra mondiale. Il suo impegno fu riconosciuto sia dalla popolazione, che lo festeggiò nel mese di giugno 1957, nella ricorrenza dei cinquant’anni di sacerdozio, sia dal vescovo di Ac­quapendente e Montefiascone, che nel 1958 lo no­minò canonico della cattedrale, sia dal papa Giovanni XXIII, che lo nomi­nò suo prelato domestico. Fu anche ispettore ono­rario delle Antichità e Belle Arti. La sua collabora­zione fu infatti importante per numerose scoperte archeologiche nel territorio di Castro e per la co­stituzione dell’Antiquarium «Pietro Lotti». Questi suoi meriti furono sottolineati nella presentazione della seconda edizione delle Memorie dall’allora sovrintendente per l’Etruria meridionale, R. Bartoccini (1958); i numerosi reperti archeologici, neolitici ed etruschi, che aveva collezionato furo­no donati dai suoi fratelli ed eredi al detto Antiqua­rium, costituendone parte del nucleo originario. Ma la sua opera maggiore fu la raccolta di memorie su Castro (Memorie storiche della distrutta città di Castro, Viterbo, tip. Fratelli Quatrini, 1959, 2ª)

[ 2 ]  LOTTI TURIDDO

Lotti, Turiddo  – Possidente, Archeologo (Ischia di Castro, 6 dic. 1908 – Ischia di Castro, 11 sett. 1984)

Era figlio di Pietro e di Simona Stendardi ed era nato ad Ischia di Castro il 6 dicembre 1908. I Lotti e gli Stendardi sono tra le famiglie più antiche di Ischia di Castro; nell’Ottocento erano riuscite a raggiungere posizioni solide dal punto di vista economico e gli Stendardi avevano avuto anche ruoli di qualche rilievo nelle campagne risorgimentali per l’Unità d’Italia.

Turiddo Lotti studia a Firenze presso il Collegio degli Scolopi, conseguendo la licenza di maturità classica. In ambiente fiorentino approfondisce la sua cultura umanistica, venendo in contatto con intellettuali che contribuiscono alla sua formazione, nutrendo così al contemporaneo, la propria passione per la disciplina storico-archeologica e per la bibliofilia.

Nel 1936 sposa Giuseppina Bevilacqua, figlia di Giovanni, di Ischia di Castro. Il matrimonio religioso è celebrato da don Eraclio Stendardi, zio di Turiddo. Tornato a Ischia di Castro si occupa dei propri possedimenti non trascurando, tuttavia, i suoi interessi di studi. In questi anni entra in contatto con il prof. Cardini di Firenze e cementa la propria amicizia con il prof. Ferrante Rittatore Vonwiller.

Nel corso degli anni, insieme allo zio mons. Eraclio Stendardi, arricchisce la preesistente collezione archeologica di famiglia grazie a donazioni e ritrovamenti, venendo così a costituire il nucleo della Collezione Stendardi-Lotti, Collezione che viene donata al Comune di Ischia di Castro nel 1958. Con questo materiale fu costituito l’“Antiquarium” Comunale” che fu fondatore e diretto da Turiddo Lotti. Questa istituzione fu successivamente intitolata a Pietro Lotti, figlio di Turiddo, scomparso prematuramente.

OPERA NAZIONALE PRO DERELICTIS

CHIESA DEL SS. CROCIFISSO DI CASTRO

CHIESE ITALIANE: CHIESA DEL SS. CROCIFISSO DI CASTRO

STORIA DETTAGLIATA
Estratto da
SS. Crocifisso di Castro
Storia e devozione
di Mario Brizi
Edizioni BiEmme

Così fu cancellata una città

La Diocesi di Castro era in attesa di un nuovo pastore dopo la morte del Vescovo titolare Mons. Alberto Giunta deceduto nell’Ottobre del 1646. Trascorse qualche tempo prima che Papa Innocenzo X elevasse alla sede di Castro il dotto e santo Barnabita P. Cristoforo Giarda che venne nominato Vescovo il 17 Aprile 1648 e consacrato dallo stesso Pontefice nella Chiesa di S. Carlo a’ Catinari il 18 Maggio dello stesso anno.
La nomina deteriorò ulteriormente i rapporti tra Ranuccio e Innocenzo X, già tesi per via dei debiti contratti dai Farnese nei confronti dello Stato Pontificio per la soluzione dei quali da tempo si stava cercando un compromesso.
La designazione di Giarda alla Diocesi di Castro aveva particolarmente contrariato Ranuccio e la madre Margherita de’ Medici che rivendicavano alla Casa Farnese la nomina del Vescovo di Castro anche perché, risiedendo i Farnese a Parma, lontano dal Ducato, ritenevano quanto mai opportuno avere in quella sede un vescovo che godesse la loro fiducia.
Appena giunse a Parma la notizia della nomina del Vescovo Giarda, Ranuccio inviò a Castro, come auditore, Francesco Pavoni, con l’ordine di non far entrare nella città il nuovo Vescovo. Lo stesso Guarda fu avvisato da Pavoni di non recarsi nella sede vescovile di Castro fino a quando non fosse avvenuto un "accomodamento" tra il Papa e Ranuccio.
Nel frattempo Cristoforo Giarda aveva ricevuto diverse minacce di morte qualora avesse preso possesso della Diocesi di cui era titolare. Per questo aveva rimandato più volte ala sua partenza da Roma per insediarsi nella nuova sede vescovile.
Ma il 18 marzo 1649, sollecitato in maniera decisa dal Papa Innocenzo X, si mise in viaggio alla volta di Acquapendente, da dove poi sarebbe proseguito per Castro. Prima di partire dalla sua residenza romana di S. Carlo a’ Catinari, quasi presagendo l’epilogo tragico di quel viaggio, alzando un crocifisso di bronzo che portava sempre con sé, disse: "Ecco il nostro stendardo e la nostra difesa, sotto la protettione del Crocifisso bisogna che combattiamo, e non altrimenti".
Lo accompagnava sul calesse il canonico francese Gabriele Besançon e lo seguivano a cavallo un prete, il suo segretario e un servitore. Il vescovo Giarda stava recitando il breviario quando, poco prima del ponte di Monterosi, fu affiancato da due uomini a cavallo, vestiti di nero, con il volto coperto, individuati poi nel processo come Ranuccio Zambini da Gradoli e Domenico Cocchi da Valentano. Ciascuno aveva in mano una terzarola (archibugio a ruota in uso nel XVII secoloe, senza proferire parola, si avvicinarono al calesse e scaricarono le armi sul vescovo Giarda, quindi, con calma, le ricaricarono e spararono di nuovo. Cinque proiettili colpirono il presule che tuttavia non morì all’istante. Tra gli atroci dolori provocati dalle ferite Mons. Giarda ebbe la forza di pronunciare parole di fede e di perdono: "Io muoio volentieri per la santa Chiesa e perdono a chi mi ha offeso e fatto offendere".
Fu portato a Monterosi e medicato come meglio si poteva dai chirurghi ai quali si aggiunsero anche quelli di Nepi; ma il giorno seguente, 19 Marzo, spirò.
Appena Innocenzo X venne a conoscenza del barbaro assassinio emise una Bolla di scomunica che colpiva tutti coloro che, direttamente o indirettamente, avevano preso parte all’uccisione del Vescovo Giarda e convocò Mons. Giulio Spinola, Governatore di Viterbo, intimandogli di aprire subito un processo che, in effetti, venne iniziato il 20 marzo.
Il Pontefice comunque già era convinto, come era anche voce comune, che il mandante dell’assassinio del Vescovo Giarda fosse Ranuccio Farnese. Per questo mandò un’armata, agli ordini del Conte David Vidman e del Marchese Gabrielli, alla volta di Castro che veniva cinta di assedio.
Ranuccio Farnese cercò di rispondere a questa mossa organizzando una manovra diversiva di attacco all’interno dello Stato Pontificio, condotta da un manipolo di soldati mercenari al comando del Marchese Gaufrido di Francia. Ma a S. Pietro in Casale, nei pressi di Bologna, il piccolo esercito assoldato da Ranuccio fu sconfitto dalle truppe pontificie.
Appresa la notizia della disfatta delle truppe del duca, il colonnello Sansone Asinelli, che comandava i soldati che difendevano Castro, non vedendo altra via di uscita stretto com’era da ogni lato dalle truppe pontificie, presentò la capitolazione della città al Conte Vidman. Questi ricevette l’ordine dal Pontefice di radere al suolo la città di Castro senza il sacrificio di vite umane.
Il 2 settembre 1649 furono firmate le condizioni di resa della città che prevedevano l’incolumità sia dei soldati che degli abitanti di Castro. La città venne saccheggiata dai soldati, molte opere d’arte e oggetti di valore furono trasportati a Roma e offerti al Papa e a Donna Olimpia Maidalchini, cognata di Innocenzo X e ritenuta responsabile principale della distruzione di Castro. Le campane, prima dell’abbattimento dei campanili, furono tolte e trasportate nei paesi vicini. Quelle della Cattedrale di S. Savino furono regalare dalla  Maidalchini alla Chiesa di S. Agnese in Agone, a piazza Navona a Roma….
Sulle rovine fu eretta a memoria e monito una colonna con la scritta "Qui fu Castro".

La sede vescovile fu trasferita ad Acquapendente che venne eretta a Diocesi con la Bolla "In supremo" emessa da Innocenzo X il 13 settembre 1649. Con la stessa Bolla il Pontefice disponeva che venissero trasferiti ad Acquapendente le reliquie dei Santi e gli arredi sacri tra i quali il simulacro della Vergine Immacolata che ancora oggi si può ammirare nell’abside della Concattedrale del S. Sepolcro.

 1747 Poco distante dalla distrutta città di Castro, a protezione di un masso con il dipinto del Crocifisso viene edificata una piccola cappella dotata di altare.

XIX Agli inizi del XIX secolo, padre Flaminio Annibali di Latera scrive che l’immagine del Crocifisso è famosa per i miracoli avvenuti ed è meta di pellegrinaggio da parte degli abitanti dei borghi vicini. Le popolazioni di Ischia di Castro e di Farnese istituiscono i comitati promotori dell’edificazione di una chiesa per la protezione e la venerazione del dipinto miracoloso.

1870  Nel 1870 la chiesa del Santissimo Crocifisso di Castro viene ultimata.

1934 - 1936 Il rettore del santuario, don Eraclio Stendardi, fa eseguire dei lavori all’interno della chiesa.

DUCINLATIUM: CHIESA DEL SS. CROCIFISSO DI CASTRO


Santissimo Crocifisso di Castro
Il modesto santuario del Santissimo Crocifisso è situato sulla Via Castrense, a 12 km da Ischia, poco lontano dalle rovine della cittadina di Castro, rasa al suolo durante la famosa “Guerra di Castro”. Una leggenda narra che i soldati che demolirono Castro, poco fuori di quella che era stata la porta del ghetto, risparmiarono un masso a forma di parallelepipedo triangolare che, sulla facciata rivolta a mezzogiorno, aveva dipinta l’immagine del Crocifisso. 
Sulle altre facciate erano dipinte la Madonna del Carmine – e S. Antonio da Padova. 
Il masso si trovava al centro di un trivio, sicché da ognuna delle strade si poteva vedere una delle nicchie dipinte. Nonostante i ripetuti tentativi, si trovarono impossibilitati da una misteriosa forza ad eseguire il loro sacrilego compito.  L’episodio fu interpretato come evento miracoloso presso la popolazione locale, e il luogo divenne meta di devoti pellegrinaggi.
Il suo asse è est-ovest ed è immerso nella campagna. Sul lato ovest ha addossato un volume più basso di sua pertinenza. La pianta si compone di un’aula rettangolare allungata a cui si connette, sull’asse trasversale, un braccio verso sud. L’aula ha due accessi contrapposti lungo l’asse longitudinale; analogamente il braccio trasversale ha accessi contrapposti sugli stessi lati. Subito dopo essere entrati nell’aula da ovest, si ha sul suo lato destro una porta che comunica con la sagrestia e permette l’accesso ad un soppalco. Sempre nell’aula, al centro, si erge un volume a pianta triangolare sul cui lato rivolto al braccio trasversale è ospitato il frontespizio d’altare che fa da sfondo alla mensa rivolta verso lo stesso lato. Gli altri due lati del volume triangolare presentano nicchie a terminazione semicircolare con icone sacre. L’alzato è semplicemente intonacato di bianco con una fascia giallina fino a un metro e mezzo da terra. Il braccio, per circa metà della sua profondità, è attraversato trasversalmente dal soppalco, strutturato a ponte, che ne abbassa per un tratto la quota di copertura. Lo spazio rettangolare è coperto da tetto su tre capriate e il braccio da un’unica falda. La luce entra da finestre rettangolari poste al disopra di tutti e quattro gli accessi e altre due, sempre rettangolari, su ciascun lato dell’asse trasversale. Sul lato est dell’aula una finestra rettangolare si aggiunge in asse alla sottostante. La facciata è a capanna con intonaco non tinteggiato. In asse vi è il portale con cornice in pietra, decorata in alto al centro da uno stemma con giglio, e terminante in un timpano triangolare. Poco più su si aprono la finestra rettangolare e al disopra un oculo, entrambi privi di incorniciatura.

SS: Crocifisso di Castro

CHIESA DI SAN GIUSEPPE
lapide commemorativa
Ricorda la consacrazione della chiesa di san Giuseppe, oratorio semipubblico eretto da Domenico Pizzi, voluta da Mons. Giacomo Consuli, vescovo di Germanopoli e amministratore apostolico di Acquapendente nella terza domenica di avvento del 1742. 
La chiesa fu concessa a Pietro Antonio Stendardi il 20 febbraio 1801.
 Al presente appartiene ancora agli eredi Stendardi

chiesetta di San Giuseppe
Ricordo autobiografico: da ragazzino vi andavo a servire la messa a Don Eraclio
(vivevo nella stessa piazza Regina Margherita) e, dopo la funzione, il grande don Eraclio si intratteneva con me e mi portava nel bel giardino della sua casa e mi ha fatto vedere, nel suo studio, l'archibugio del brigante Tiburzi. Ma, nella sua infinita modestia, non mi ha mai parlato dei suoi trascorsi fiorentini e italiani. Posseggo la prima ediizione del 1929 e la seconda del 1959 del suo prezioso libro: "Memorie storiche della città di Castro", con dedica, che conservo gelosamente.

Piazza Eraclio Stendardi


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